Il Presidente dell’Ordine arch. Falzea, nella sua qualità di Presidente della Consulta degli Ordini degli Architetti di Sicilia, ha scritto una nota all’Assessore Regionale all’Agricoltura Edy Bandiera e al Dirigente al ramo Gaetano Cimò riguardo alcune segnalazioni da parte di iscritti agli Ordini degli Architetti P.P.C. della Sicilia secondo le quali l’Assessorato Regionale, dopo avvio del procedimento riguardante la verifica delle competenze del progettista (Architetto) relative a progettazione e D.L. di strade rurali sia giunto alla determinazione di escludere dalla graduatoria per i finanziamenti quei progetti a solo firma dell’Architetto in virtù del parere n. 723/2015 del Consiglio di Stato, adunanza di Sezione del 4 febbraio 2015, pubblicato in data 12/03/2015.
In particolare il Presidente Falzea si riferisce alla determinazione assunta dal Servizio XII di Messina, nota prot. n. 97 del 05/01/2018.
Ecco il testa della missiva:
“E’ da premettere che la questione rientra tra le annose controversie tra Architetti e Ingegneri in materia di
competenze specifiche in cui, in molti casi, la giurisprudenza costante ha fatto chiarezza su precisi argomenti.
Sull’argomento in oggetto non si ha molto di specifico. Certamente il parere del CdS n. 753/2015 che interessava la
Regione Lazio, sembrerebbe chiarificatore in merito alla competenza di tali opere agli Ingegneri. Così non è.
Il Consiglio di Stato motiva ciò alla luce dell’articolo 51 del regio decreto 23 ottobre 1925 numero 2537: “Sono di
spettanza della professione d’ingegnere le “competenze professionali” legate al progetto, la condotta e la stima dei
lavori, dei lavori relativi alle vie ed ai mezzi di trasporto”, tra cui anche la “viabilità rurale”, come tutte le opere viarie in
genere”.
Secondo una diffusa giurisprudenza la progettazione delle opere di viabilità rientra nelle “competenze
professionali” degli ingegneri, non solo in forza del sopracitato articolo, ma anche perché tali opere non rientrerebbero
all’interno del concetto di edilizia civile.
Si badi bene, si tratta di un parere, ma è giusto ricordare che un altrettanto diffusa consuetudine interpretativa,
possa indurre invece ad interpretare il dettato normativo in senso sicuramente più estensivo, così da consentire che
anche gli architetti firmino un progetto relativo alla viabilità strettamente servente un’opera di edilizia civile, tale
perciò, da potersi considerare accessoria a quest’ultima.
Partiamo dal chiarimento dei principi e delle regole che definiscono i campi di competenza dei diversi
professionisti che, per legge dello Stato e secondo Direttive Europee, sono abilitati ad operare nel settore delle
costruzioni e del territorio e che sono (in ordine di titolo di studio ed alfabetico): Architetti, Ingegneri, Geometri e
Periti.
Una prima fondamentale suddivisione delle competenze è stabilita dal titolo di studio e dalla susseguente
abilitazione professionale.
Architetti ed Ingegneri sono in possesso di un Diploma di Laurea (rispettivamente di Dottore in Architettura e
Dottore in Ingegneria) rilasciato da una Università.
Le competenze di Ingegnere e Architetto, dunque, fuori da alcuni casi particolari che costituiscono competenza
esclusiva dell’uno o dell’altro (restauri e costruzioni artistiche per gli architetti, impianti minerari, industriali e di
comunicazione per gli ingegneri), sono da intendersi in massima parte coincidenti (la giurisprudenza parla di equi
ordinazione dei due titoli).
Un concetto sancito anche più recentemente dalla Cassazione Civile, sezioni Unite, 26.7.1993 n. 8348: “Le competenze
riconosciute alle due professioni sono promiscue stante l’equiparazione tra le due categorie (cfr. la legge n. 143 del 1949 sulle tariffe
professionali), e solo in linea d’eccezione sussistono attribuzioni riservate all’uno ed all’altra professione quando una tale privativa
risulti espressamente regolata dalla legge (cfr., ad es. l’art. 1 del R.D. 16.11.1939 n. 2229), di modo che dalla riserva all’una professione derivi la
preclusione allo svolgimento delle stesse attività da parte degli appartenenti all’altra professione”. In altre parole, se una legge non
vieta espressamente all’una o all’altra professione certe competenze, deve intendersi che sia l’ingegnere che l’architetto
siano abilitati. Si badi bene che nel caso specifico la determinazione che codesto Assessorato sta intraprendendo
si fonda su un parere (seppur del Cd.S.) e non di una legge.
Sull’attribuzione di competenze, in virtù della generica oltre che obsoleta legge originaria vi è una infinità di
pronunciamenti: Cassazioni, TAR, CdS., CSLLPP spesso in contrasto tra loro, ma molto spesso i pronunciamenti sono
estensivi rispetto alle limitazioni originarie delle due figure di Architetto e Ingegnere. In merito agli impianti, ad es., Il
decreto del Ministero dell’industria DM 6.4.2000, ha aperto gli elenchi dei professionisti per le verifiche degli impianti
a tutti gli iscritti agli Albi (quindi anche gli architetti) che, nell’ambito delle proprie competenze professionali
ritengono di poter assumere incarichi di verifica e collaudo di impianti, sulla base della propria esperienza dimostrabile
attraverso il proprio curriculum.
Anche il TAR Piemonte, II sezione, con decisione n.100 del 25.2.1989 ha stabilito che “rientrano nella
competenza di un architetto tutte le opere poste a diretto servizio dei singoli fabbricati, ivi compresa la progettazione
dell’adeguamento alle norme di sicurezza di una centrale termica di un fabbricato”.
Esiste un orientamento della magistratura ad interpretare in senso ampio le competenze stabilite nell’art.52 de
RD 2537/1925. Infatti il Consiglio di Stato che dapprima aveva ammesso che le opere stradali potessero essere
progettate anche da architetti, ma solo a condizione che siano connesse ai singoli fabbricati (sentenza 92 del
19.02.1990), in più recenti pronunzie (sentenze del Consiglio di Stato n.2938/2000 e n.20/2002), ha stabilito che “spetta
non solo agli ingegneri, ma anche agli architetti la progettazione di massima ed esecutiva di una strada che si sviluppi
all’interno del tessuto urbano e serva da collegamento fra due punti del medesimo”. Nelle stesse sentenze è chiarito che
esiste la competenza degli architetti anche per le opere di progettazione di illuminazione pubblica: “deve accedersi ad
una interpretazione della nozione di edilizia civile sufficientemente estesa, che non limiti pertanto l’opera di
progettazione dell’illuminazione viaria pubblica in ambito comunale ad un fenomeno di mera applicazione di energia
elettrica, potendo essa invece costituire una efficace mezzo di valorizzazione dei singoli fabbricati e del complesso
patrimonio edilizio comunale”.
Pertanto, al fine di comprendere i limiti delle rispettive competenze in subiecta materia, è necessario fare
riferimento alla specifica normativa di settore, oggi, trasformata, sotto il profilo sia ordinamentale che accademico, dal
Decreto del Presidente della Repubblica n. 328 del2001.
La ripartizione di competenza contenuta negli articoli 51 e 52 del 1925 (r.d. 2357/1925) si attagliava ad un’epoca
in cui gli ingegneri si occupavano di ogni tipo di impianto o di edificazione con aspetti tecnici e non, e gli architetti
progettavano e realizzavano, con particolare riguardo ai profili estetici, case destinate ad usi non specializzati
(abitazioni, uffici, negozi, ecc.).
Attualmente, l’art. l D.P.R. 328/2001 ha introdotto una più complessa articolazione delle attività esplicabili dalle
due categorie, con la presenza di due Sezioni A e B (e dei relativi Settori), ciascuna delle quali “individua ambiti
professionali diversi in relazione al diverso grado di capacità e competenza acquisita mediante il percorso formativo”.
Dall’analisi dei contenuti delle predette sezioni e settori si possono arguire le varie funzioni esplicabili dai
predetti professionisti, individuate sulla base dei percorsi di studi effettuati ed in relazione alle diverse specializzazioni
ottenute, nonché della propria esperienza professionale maturata.
Il citato decreto introduce una molteplicità di specializzazioni nell’ambito delle due professioni e dei relativi
albi, in modo che sia più agevole per il committente scegliere professionisti specificamente versati rispetto all’oggetto
dell’incarico, e prevede una “mobilità orizzontale” tra Ordini, ponendo l’accento sulle specifiche competenze acquisite
dai professionisti, sia nel corso della formazione universitaria, che nella propria specifica esperienza professionale.
Resta però il fatto che, essendo stata confermata l’efficacia degli art. 51 e 52 del R.D. del 1925, permane una zona
grigia in materia di edilizia civile, la quale è sostanzialmente accessibile sia al settore architettura della professione di
architetto, (art. 16 DPR 328) sia al settore ingegneria civile e ambientale della professione di ingegnere (art. 46 DPR
328).
Quello che è importante osservare è che l’edilizia civile è considerata dalla normativa non come un mosaico di
apporti diversi da parte di professionisti diversi, ma come una “materia globale” riservata sotto ogni aspetto, anche
tecnico, alla competenza concorrente degli ingegneri e degli architetti (ad eccezione dell’architettura artistica nella
parte non tecnica). Le attività costruttive, relative all’edilizia civile sono quindi, in linea di massima, il punto unificante
delle professioni di ingegnere e di architetto, in particolare degli architetti edili e degli ingegneri civili (D.P.R.
328/2001).
Dalla lettura della nota inizialmente citata del Servizio XII di Messina a chiusura di uno tra i tanti procedimenti
sopra detti si legge “SI RITIENE che non rientrando la progettazione delle opere di viabilità rurale nel concetto di
edilizia civile, la stessa non può essere firmata dagli Architetti”. Resta il dilemma di cosa si intende per edilizia civile.
Potrebbe prospettarsi una interpretazione lata del termine “edilizia civile” includendo in essa tutto quanto
concerne gli interventi costruttivi nell’aggregato urbano, cioè, oltre ai fabbricati a destinazione abitativa (o
commerciale o ricreativa o burocratica) anche le infrastrutture di collegamento fra i fabbricati (strade, raccordi, ponti
aerei, ecc.).
In effetti, esistono numerose pronunzie della Magistratura Amministrativa orientate verso una più ampia, e più
logica individuazione delle competenze degli architetti. Il Consiglio di Stato, ad esempio ha ammesso che le opere
stradali possono essere progettate anche da architetti, ove connesse al collegamento fra singoli fabbricati (cfr. Consiglio
di Stato 19.02.1990 n. 92) poi, in più recenti pronunzie (cfr. Consiglio di Stato, Sez. n. 2938/00 e n. 20/2002), ha stabilito
che “spetta non solo agli ingegneri, ma anche agli architetti la progettazione di massima ed esecutiva di una strada che si sviluppi all’interno
del tessuto urbano e serva da collegamento fra due punti del medesimo”, fino a riconoscere la competenza degli architetti persino
per le opere di progettazione di illuminazione pubblica, statuendo che “deve accedersi ad una interpretazione della
nozione di edilizia civile sufficientemente estesa, che non limiti pertanto l’opera di progettazione dell’illuminazione viaria
pubblica in ambito comunale ad un fenomeno di mera applicazione di energia elettrica, potendo essa invece costituire una efficace mezzo di
valorizzazione dei singoli fabbricati e del complesso patrimonio edilizio comunale”.
Il campo dell’edilizia civile deve, in ogni caso, consentire al professionista che opera in quella sfera (sia esso
architetto o ingegnere) la più ampia libertà di intervento relativamente alle dotazioni tecniche connesse sicuramente e
necessariamente con la destinazione civile degli immobili, e quindi inseparabili dall’impostazione globale delle
edificazioni e dal loro assetto strutturale e funzionale (termosifoni, telefoni, ascensori, scarichi, acqua potabile ecc,).
L’assetto cosi delineato, è ragionevole, non contrasta con il tipo di preparazione degli architetti, ed appare
conforme allo spirito della normativa.
Vi è, all’opposto, una tendenza espansiva degli ingegneri, ad affermare la loro esclusiva competenza anche nel
campo della edilizia civile, dovunque esista un aspetto, anche in parte, tecnologico. In tal modo, forse sulla base della
superficiale convinzione secondo cui il tecnico per eccellenza è l’ingegnere (mentre gli architetti sarebbero versati negli
aspetti estetici delle costruzioni) gli ingegneri verrebbero a prevalere sugli architetti sottraendo loro rilevanti parti di
attività.
Un argomento in contrario può riconoscersi dalla stessa lettura di alcune disposizioni. Nell’art. 52 del R.D. del
925, si prevede, che la “parte tecnica” degli immobili aventi pregio artistico può (facendo eccezione alla esclusività
accordata in materia agli architetti), essere affidata agli ingegneri. Ciò vuoi dire che gli architetti si occupano,
normalmente, della parte tecnica degli immobili artistici, e che quindi essi sono idonei ad affrontare e risolvere
questioni tecnologiche, non solo negli immobili artistici ma anche, e a maggior ragione, negli immobili civili non di
pregio artistico.
A parte ciò, è contrario alla logica ed al buonsenso pratico che, dovunque in una costruzione civile vi sia un
problema inerente ad impianti tecnologici, da posizionare ed installare in armonia con la complessiva impostazione
costruttiva, occorra l’intervento di ingegneri (eventualmente esperti in idraulica, in elettronica, in meccanica ecc.). In
realtà, le “opere impiantistiche” gli “impianti tecnologici” che fanno parte integrante di una iniziativa di edilizia civile,
non vanno isolati dal processo costruttivo o dalla manutenzione dell’edificio: in caso diverso, la professionalità
dell’architetto, già circoscritta, verrebbe ad essere sminuita e frammentata anche con riguardo ad un singolo edificio,
con pregiudizio alla unitarietà della impostazione edilizia.
In tal senso è la giurisprudenza prevalente, che appare più perspicace delle isolate pronunzie citate ex adverso .
La Corte Costituzionale ha significativamente affermato il principio generale che “esistono zone di
concorrenza parziale e interdisciplinare sempre maggiormente necessarie in una società via via più complessa, di
fronte alle quali l’accertamento ed il riconoscimento negli ordinamenti di categoria della specifica professionalità
ai sensi dell’art. 33 della Costituzione, non può essere ispirata ad una interpretazione in chiave di generale
esclusività monopolistica” (Corte costituzionale 21 luglio 1995, n. 345 in Cons. Stato 1995, III230).
Nell’edilizia civile, la linea di demarcazione tra l’attività libera e quella monopolizzata ovvero tra il monopolio
dell’uno o dell’altro albo professionale, non può dunque essere individuata analizzando esclusivamente le attività
elencate dai singoli ordini professionali ed attribuite in via esclusiva agli iscritti (cfr., in tal senso, Cons. Stato IV sez., 8
ottobre 1996, n. 1087 in Cons. Stato, 1996,1, 1447); è, invece, necessario valutare se la stessa attività, nella prassi, non sia
attribuita parimenti ad altre categorie.
Anche la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3814/00, nel riconoscere la competenza degli
architetti per la progettazione di impianti affini o connessi con progetti di opere di edilizia civile, quale può
essere anche un impianto di illuminazione elettrica, ha esplicitamente affermato che “avendo l’art. 52 del r.d n.
2357 del 1925 totalmente equiparato le due professioni, l’architetto ha la medesima competenza dell’ingegnere”
(Cass. Sez. II, sent. n. 3814/00).
Stando ai consolidati orientamenti giurisprudenziali richiamati, è evidente che la competenza esclusiva di
una determinata categoria di iscritti in un albo professionale può essere identificata soltanto in presenza di una
esplicita e chiara indicazione legislativa dalla quale si possa univocamente desumere la volontà del legislatore di
escludere la competenza di ogni altra categoria di professionisti.
Come correttamente stabilito dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr. sent. n. 3814/00 cit.) “non può
affermarsi in generale l’esistenza di una competenza professionale degli ingegneri intesa come principale ed
indispensabile e, di conseguenza, attribuire agli architetti una funzione sussidiaria e di complemento, in assenza
di una specifica previsione normativa che disciplini differentemente le competenze delle due categorie
professionali o che addirittura escluda la competenza di un Ordine in favore di un altro”.
Va altresì notato che il D.Lgs 626/94, (art. 7, punto a), richiede che il datore di lavoro e/o il committente verifichi
l’idoneità tecnico-professionale dei soggetti che intervengono nella realizzazione dell’opera o della prestazione affidata,
ma non specifica quali siano i soggetti dotati delle caratteristiche tecnico professionali per l’espletamento delle opere
stesse, cioè non stabilisce se queste possano essere realizzate anche da un architetto, ovvero esclusivamente da un
ingegnere.
Più in particolare per l’esercizio dell’attività di progettazione e verifica degli impianti elettrici e di sicurezza,
l’art. 6 della legge n. 46/1990 si limita a stabilire che tale attività venga svolta da professionisti, iscritti negli albi
professionali, nell’ambito delle rispettive competenze.
Non v’è dubbio che la progettazione degli impianti di cui alla legge n. 46/1990, (che riguarda la sicurezza gli
impianti negli edifici), ancorché attinente alle applicazioni della fisica, è materia strettamente ed oggettivamente
connessa alla progettazione in materia di edilizia civile che, in quanto tale, rientra a pieno titolo nelle competenze degli
architetti, il cui percorso formativo presuppone a vario titolo anche la conoscenza della fisica.
A tale conclusione è giunta la VI Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza 20 dicembre 1997, n, 1876 (in
Cons. Stato, 1997, l, 1739), secondo cui “non può ritenersi che la soluzione del problema dell’individuazione dei professionisti abilitati,
resa in qualche caso poco agevole dalla utilizzazione normativa di parametri generici dalla parziale sovrapposizione di talune competenze
(specie per quanto concerne gli ingegneri e gli architetti) possa creare un ‘ingiustificata limitazione per l’attività degli altri professionisti che
sotto la propria responsabilità a norma dell’art. 348 c. p. ritengano di poter svolgere le operazioni di verifica”.
Ad analoga conclusione era peraltro giunto anche il Giudice Amministrativo, riconoscendo la competenza degli
architetti, in materia di impiantistica (elettrica, termica ecc.), per le opere conglobate negli edifici civili o ad essi
pertinenti o strettamente collegate.
In particolare, a titolo esemplificativo, ma non esaustivo, si riportano alcune decisioni dei Tribunali
Amministrativi Regionali e del Consiglio di Stato relative alla competenza degli architetti in materia di progettazione e
messa a norma di impianti tecnologici. In tema di beni architettonici, il TAR della Puglia – Bari, Sez. I, Sent. n. 929/98,
ha così statuito: “compete ai professionisti architetti la progettazione e la direzione dei lavori e degli interventi su edifici non vincolati, che
presentano caratteristiche artistiche, sia pure non rilevantissime, nonché gli interventi su edifici tutelati, anche per l’aspetto che pur riguardi
solo la parte tecnica”.
Il TAR della Campania, con sentenza n. 2751/1998, sostanzialmente equiparando le competenze degli ingegneri e
degli architetti in materia di costruzioni, ha cosi statuito: “tra le opere di edilizia civile rientranti nella competenza degli architetti,
oltreché in quella degli ingegneri sono compresi gli impianti tecnici quando abbiano carattere connesso e accessorio, purché si tratti di
pertinenza di singolo fabbricato o complesso edilizio”,
La Cassazione, come già accennato, ha parimenti, stabilito che “rientra nell’attribuzione professionale dell’architetto la
progettazione di tutti gli impianti affini o connessi con i progetti di opere di edilizia civile” (Cass. Civ., 29,03,2000 n. 3814) ed ancora
“quando, gli impianti tecnologici sono costruiti in funzione degli edifici civili, le opere relative e, concettualmente connesse, rientrano
nell’edilizia civile”.
Si ribadisce che la stessa Corte di Cassazione ha chiarito già da tempo che le competenze di architetti ed
ingegneri sono ”promiscue ed indifferenziate stante l ‘equiparazione tra le due categorie e che solo in linea
eccezionale sussistono attribuzioni riservate all’una o all’altra professione”.
Le distinzioni operate in via generale dal R.D. 2537/1925 devono dunque essere riportate al tempo presente e ciò
emerge anche dalla riconosciuta competenza degli architetti in materia impiantistica, confermata, per fare solo un
esempio, dalle indicazioni offerte dal Ministero della Giustizia con nota del 17 novembre 1999 prot
7/09003002F8/4143N relativa alle competenze degli iscritti agli Albi professionali nelle materie indicate nelle leggi
46/90 e 10/91.
Dal punto di vista qualitativo e quantitativo, del resto, può risultare ben più impegnativo un impianto
tecnologico creato al servizio di un enorme edificio singolo (quali si rinvengono in tal une mostruose edificazioni
economico·popolari) che un impianto unitario collegato a più villette di dimensioni minime. Analogamente può essere
sicuramente più complessa la progettazione di strade o ponti a servizio di un quartiere che non una semplicissima
strada rurale che comunque serve anch’essa da collegamento di fabricati rurali o fondi.
Riteniamo, ad esempio, che un architetto possa firmare un progetto di installazione di termosifoni alimentati da
un serbatoio di combustibile collocato nella cantina o nel giardino, o nel piazzale adiacente e collegato alle varie
abitazioni di uno più edifici.
Altrettanto può dirsi per l’impianto idrico, per l’impianto elettrico, per le fosse biologiche, per i depuratori, per il
lavaggio automatico, ecc. A maggior ragione, l’architetto può occuparsi delle tubazioni e dei collegamenti elettrici, dei
telefoni, degli ascensori; che servono più fabbricati.
Con specifico riferimento poi alle norme sulla sicurezza degli impianti, sarà sufficiente che l’architetto attesti di
possedere il titolo di “coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione dei lavori” ottenuto all’esito
di un corso di preparazione ugualmente obbligatorio per ingegneri, architetti e geometri (d.lgs 494/96).
Interessante, per quanto riguarda le competenze professionali delle due categorie, è la Sentenza di Cassazione
Civile n.8348/1993 che fa riferimento al R.D. 2537/1925. Tale sentenza chiarisce che le competenze riconosciute alle
professioni di ingegnere e di architetto sono promiscue ed indifferenziate stante l’equiparazione tra le due
categorie e che solo in linea eccezionale sussistono attribuzioni riservate all’una o all’altra professione, quali
impianti industriali per gli ingegneri ed edilizia civile di rilevante carattere artistico per gli architetti. Pertanto,
soltanto in via legislativa può essere riservato ad una delle due professioni e conseguentemente vietato all’altra, lo
svolgimento di una determinata attività. Qualora, invece il Legislatore non si sia espresso, deve essere
riconosciuta la equiparazione fra le due categorie.
Dalla disamina sin ora svolta, si può affermare che oltre alle competenze esclusive per gli Architetti su edifici
artistici e storici, è costante l’estensione delle competenze degli Architetti e l’equiparazione delle due figure, peraltro in
più sentenze sancita dalla Suprema Corte.
Stante ciò, nonostante nello specifico delle strade rurali non vi sia adeguata giurisprudenza, per analogia ci si
può riferire alla competenza degli Architetti per la progettazione di strade (anche complesse) a servizio della
residenza. Infatti le strade rurali altro non sono che tracciati semplici di collegamento tra poderi ed edifici rurali.
Inoltre, a maggior ragione, nei casi in specie, l’oggetto dei lavori non riguarda la progettazione e realizzazione di
nuove strade, bensì la manutenzione di strade esistenti. La legittimità a intervenire dell’Architetto è, altresì
avvalorata dal parere del Genio Civile e dalle autorizzazioni degli Enti preposti che si sono espressi e che hanno la
legittimazione per la verifica delle competenze del tecnico firmatario.
Si badi bene che un’eventuale provvedimento di diniego da parte dell’Assessorato competente sarebbe un atto
abnorme che potrebbe provocare un danno irreparabile sia al committente, ma anche al professionista che si
troverebbe immotivatamente privato del lavoro svolto.
Si noti, inoltre che i professionisti in specie manifestano la loro competenza in materia di strade sia derivante dai
loro piani di studio, sia da incarichi espletati presso pubbliche Amministrazioni tra cui anche di codesto Assessorato. Si
fa ulteriormente rilevare che l’Assessorato Regionale che oggi procede a verifica sulle competenze tecniche, ha negli
anni fino ad oggi approvato simili ed anche più complessi ed estesi interventi viari a firma di Architetti con lavori
conclusi e contabilizzati positivamente.
Alla luce delle considerazioni svolte,
si invita
codesto Assessorato a rivedere e ritirare in autotutela i provvedimenti già assunti di esclusione dalla graduatoria
dei progetti ammissibili di finanziamento firmati da soli Architetti, al fine di evitare, anche, aggravi patrimoniali in virtù
di legittimi ricorsi amministrativi che ne deriverebbero.
Qualora inopinatamente l’Assessorato dovesse adottare provvedimenti lesivi della professione di Architetto
procederemo ad adiuvandum per eventuali ricorsi amministrativi a tutela della categoria.”
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